M. Magnano
Direttore S.C. ORL ASL TO3 (presidi di Pinerolo e Rivoli – TO)
Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una crescita dell’interesse verso il riconoscimento dell’unicità del paziente ed ad una conseguente trasformazione dell’applicazione della scienza medica.
Tutti gli ambiti della medicina, dalla ricerca, alla diagnostica fino alla terapia, perseguono sempre più l’obiettivo di trattare il paziente nella sua interezza, evitando la sua scomposizione in singole patologie. É facilmente intuibile che la semplice somma delle malattie non basta a caratterizzare la persona, poiché vi sono svariati meccanismi che intervengono nel funzionamento complessivo del sistema corporeo. Uno di questi è la fragilità.
La fragilità è stata descritta come una “sindrome multidimensionale con perdita di risorse come energia, capacità fisica, coscienza e vulnerabilità”o, alternativamente, come”mancanza di riserve fisiologiche attraverso più sistemi di organi” (Furukawa H, Tanemoto K., 2015). Non si tratta quindi di una patologia, ma di una condizione che influenza la capacità del soggetto di reagire dopo l’esposizione ad un fattore di stress, sia questo una malattia, un intervento chirurgico o un trattamento radiochemioterapico.
Inoltre esiste un soggetto definibile “vulnerabile” che, sebbene apparentemente sano, risulta “minato” da condizioni che precedono lo stato di fragilità, non evidenti, ma che doverosamente devono essere identificate e corrette da possibili interventi preventivi. Questa vulnerabilità nascosta è resa possibile dal fatto che il corpo umano è in grado di mantenere stabile la funzionalità di un sistema multiorgano anche quando questa diminuisce gradatamente nel tempo, restando asintomatico; scendendo però al di sotto della soglia minima del 30% di funzione residua, il sistema può andare incontro ad un apparente tracollo.
La fragilità è più frequente nel paziente anziano, in quanto conseguenza del declino fisiologico età-correlato della riserva funzionale. Quasi il 10% dei soggetti con più di 65 anni si trova in uno stato di fragilità, mentre oltre gli 85 anni di età la percentuale si aggira tra il 25% ed il 50%.
Il nostro è tra i Paesi con il più alto tasso di longevità e l’età media della popolazione continua progressivamente ad aumentare. Le proiezioni ISTAT prevedono che nel 2050 la quota di ultra 65enni sul totale della popolazione potrebbe ulteriormente aumentare rispetto al valore attuale, già comunque elevato (22,8% nel 2019), insieme al numero di ultra 90enni, oggi circa 800 mila, destinati ad aumentare di oltre mezzo milione nei prossimi vent’anni.
Una vita più lunga significa anche maggior rischio e crescente frequenza di tutte le patologie, cronicità e disabilità tipicamente connesse alla vecchiaia. L’età non è però l’unica causa, infatti la fragilità può essere presente anche in soggetti più giovani, soprattutto se affetti da patologie croniche quali quelle neoplastiche.Nei pazienti oncologici la percentuale di soggetti fragili